Ezio, Parigi, Hérissant, 1780

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte con archi trionfali ed altri apparati festivi, apprestati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d’Ezio vincitore d’Attila.
 
 VALENTINIANO, MASSIMO, VARO con pretoriani e popolo
 
 MASSIMO
 Signor, mai con più fasto
 la prole di Quirino
 non celebrò d'ogni secondo lustro
 l'ultimo dì. Di tante faci il lume,
5l'applauso popolar turba alla notte
 l'ombre e i silenzi; e Roma
 al secolo vetusto
 più non invidia il suo felice Augusto.
 VALENTINIANO
 Godo ascoltando i voti
10che a mio favor sino alle stelle invia
 il popolo fedel, le pompe ammiro,
 attendo il vincitor, tutte cagioni
 di gioia a me; ma la più grande è quella
 ch'io possa offrir con la mia destra in dono
15ricco di palme alla tua figlia il trono.
 MASSIMO
 Dall'umiltà del padre
 apprese Fulvia a non bramare il soglio;
 e a non sdegnarlo apprese
 dall'istessa umiltà. Cesare imponga;
20la figlia eseguirà.
 VALENTINIANO
                                  Fulvia io vorrei
 amante più, men rispettosa.
 MASSIMO
                                                      È vano
 temer ch'ella non ami
 que' pregi in te che l'universo ammira.
 (Il mio rispetto alla vendetta aspira).
 VARO
25Ezio s'avanza. Io già le prime insegne
 veggo appressarsi.
 VALENTINIANO
                                     Il vincitor s'ascolti;
 e sia Massimo a parte
 de' doni che mi fa la sorte amica. (Valentiniano va sul trono servito da Varo)
 MASSIMO
 (Io però non obblio l'ingiuria antica).
 
 SCENA II
 
 EZIO, preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguito da’ soldati vincitori e popolo, e detti
 
 EZIO
30Signor, vincemmo. Ai gelidi Trioni
 il terror de' mortali
 fuggitivo ritorna. Il primo io sono
 che mirasse finora
 Attila impallidir. Non vide il sole
35più numerosa strage. A tante morti
 era angusto il terreno. Il sangue corse
 in torbidi torrenti.
 Le minacce, i lamenti
 s'udian confusi; e fra i timori e l'ire
40erravano indistinti
 i forti, i vili, i vincitori, i vinti.
 Né gran tempo dubbiosa
 la vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
 fugge il tiranno e cede
45di tante ingiuste prede,
 impacci al suo fuggir, l'acquisto a noi.
 Se una prova ne vuoi,
 mira le vinte schiere:
 ecco l'armi, le insegne e le bandiere.
 VALENTINIANO
50Ezio, tu non trionfi
 d'Attila sol; nel debellarlo ancora
 vincesti i voti miei. Tu rassicuri
 su la mia fronte il vacillante alloro;
 tu il marzial decoro
55rendesti al Tebro; e deve
 alla tua mente, alla tua destra audace
 l'Italia tutta e libertade e pace.
 EZIO
 L'Italia i suoi riposi
 tutta non deve a me; v'è chi li deve
60solo al proprio valore. All'Adria in seno
 un popolo d'eroi s'aduna e cangia
 in asilo di pace
 l'instabile elemento.
 Con cento ponti e cento
65le sparse isole unisce;
 colle moli impedisce
 all'ocean la libertà dell'onde.
 E intanto su le sponde
 stupido resta il pellegrin che vede
70di marmi adorne e gravi
 sorger le mura, ove ondeggiar le navi.
 VALENTINIANO
 Chi mai non sa qual sia
 d'Antenore la prole? È noto a noi
 che, più saggia d'ogni altro,
75alle prime scintille
 dell'incendio crudel ch'Attila accese,
 lasciò i campi e le ville
 e in grembo al mar la libertà difese.
 So già quant'aria ingombra
80la novella cittade; e volgo in mente
 qual può sperarsi adulta,
 se nascente è così.
 EZIO
                                    Cesare, io veggo
 i semi in lei delle future imprese.
 Già s'avvezza a regnar. Sudditi i mari
85temeranno i suoi cenni. Argine all'ire
 sarà de' regi; e porterà felice,
 con mille vele e mille aperte al vento,
 ai tiranni dell'Asia alto spavento.
 VALENTINIANO
 Gli auguri fortunati
90secondi il ciel. Fra queste braccia intanto (Scende dal trono)
 tu del cadente impero e mio sostegno
 prendi d'amore un pegno. A te non posso
 offrir che i doni tuoi. Serbami, amico,
 quei doni istessi; e sappi
95che fra gli acquisti miei
 il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.
 
    Se tu la reggi al volo,
 su la tarpea pendice
 l'aquila vincitrice
100sempre tornar vedrò.
 
    Breve sarà per lei
 tutto il cammin del sole;
 e allora i regni miei
 col ciel dividerò. (Parte con Varo e pretoriani)
 
 SCENA III
 
 EZIO, MASSIMO e poi FULVIA con paggi ed alcuni schiavi
 
 MASSIMO
105Ezio, donasti assai
 alla gloria e al dover; qualche momento
 concedi all'amistà; lascia ch'io stringa
 quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio)
 EZIO
                                            Io godo, amico,
 nel rivederti; e caro
110m'è l'amor tuo de' miei trionfi al paro.
 Ma Fulvia ove si cela?
 Che fa? Dov'è? Quando ciascun s'affretta
 su le mie pompe ad appagar le ciglia,
 la tua figlia non viene?
 MASSIMO
                                            Ecco la figlia.
 EZIO
115Cara, di te più degno (A Fulvia nell’uscire)
 torna il tuo sposo; e al volto tuo gran parte
 deve de' suoi trofei. Fra l'armi e l'ire
 mi fu sprone egualmente
 e la gloria e l'amor; né vinto avrei
120se premio a' miei sudori
 erano solo i trionfali allori.
 Ma come! a' dolci nomi
 e di sposo e d'amante
 ti veggo impallidir! Dopo la nostra
125lontananza crudel così m'accogli?
 Mi consoli così?
 FULVIA
                                (Che pena!) Io vengo...
 Signor...
 EZIO
                   Tanto rispetto,
 Fulvia, con me! Perché non dirmi fido?
 Perché sposo non dirmi? Ah! Tu non sei
130per me quella che fosti.
 FULVIA
                                             Oh dio! Son quella.
 Ma senti... Ah genitor, per me favella.
 EZIO
 Massimo, non tacer.
 MASSIMO
                                        Tacqui finora,
 perché co' nostri mali a te non volli
 le gioie avvelenar. Si vive, amico,
135sotto un giogo crudel. Anche i pensieri
 imparano a servir. La tua vittoria,
 Ezio, ci toglie alle straniere offese;
 le domestiche accresce. Era il timore
 in qualche parte almeno
140a Cesare di freno; or che vincesti,
 i popoli dovranno
 più superbo soffrirlo e più tiranno.
 EZIO
 Io tal nol credo. Almeno
 la tirannide sua mi fu nascosa.
145Che pretende? Che vuol?
 MASSIMO
                                                 Vuol la tua sposa.
 EZIO
 La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
 consentite a tradirmi?
 FULVIA
                                            Aimè!
 MASSIMO
                                                          Qual arte,
 qual consiglio adoprar? Vuoi che l'esponga,
 negandola al suo trono,
150d'un tiranno al piacer? Vuoi che su l'orme
 di Virginio io rinnovi,
 per serbarla pudica,
 l'esempio in lei della tragedia antica?
 Ah! Tu solo potresti
155frangere i nostri ceppi,
 vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
 del popolo e dell'armi. A Roma oppressa,
 all'amor tuo tradito
 dovresti una vendetta. Alfin tu sai
160che non si svena al cielo
 vittima più gradita
 d'un empio re.
 EZIO
                              Che dici mai! L'affanno
 vince la tua virtù. Giudice ingiusto
 delle cose è il dolor. Sono i monarchi
165arbitri della terra,
 di loro è il cielo. Ogni altra via si tenti
 ma non l'infedeltade.
 MASSIMO
                                          Anima grande, (Massimo abbraccia Ezio)
 al par del tuo valore
 ammiro la tua fé che più costante
170nelle offese diviene.
 (Cangiar favella e simular conviene).
 FULVIA
 Ezio così tranquillo
 la sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?
 EZIO
 Tu sei pur d'ogni laccio
175disciolta ancora. Io parlerò. Vedrai
 tutto cangiar d'aspetto.
 FULVIA
                                             Oh dio! Se parli,
 temo per te.
 EZIO
                          L'imperator finora
 dunque non sa ch'io t'amo?
 MASSIMO
                                                     Il vostro amore
 per tema io gli celai.
 EZIO
                                        Questo è l'errore.
180Cesare non ha colpa. Al nome mio
 avria cangiato affetto. Egli conosce
 quanto mi deve; e sa ch'opra da saggio
 l'irritarmi non è.
 FULVIA
                                  Tanto ti fidi?
 Ezio, mille timori
185mi turban l'alma. È troppo amante Augusto;
 troppo ardente tu sei. Rifletti, oh dio,
 pria di parlar. Qualche funesto evento
 mi presagisce il cor. Nacqui infelice
 e sperar non mi lice
190che la sorte per me giammai si cangi.
 EZIO
 Son vincitor; sai che t'adoro e piangi?
 
    Pensa a serbarmi, o cara,
 i dolci affetti tuoi;
 amami e lascia poi
195ogni altra cura a me.
 
    Tu mi vuoi dir col pianto
 che resti in abbandono.
 No, così vil non sono;
 e meco ingrato tanto
200no, Cesare non è. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 FULVIA
 È tempo, o genitore,
 che uno sfogo conceda al mio rispetto.
 Tu pria d'Ezio all'affetto
 prometti la mia destra; indi m'imponi
205ch'io soffra, ch'io lusinghi
 di Cesare l'amore; e m'assicuri
 che di lui non sarò. Servo al tuo cenno;
 credo alla tua promessa; e quando spero
 d'Ezio stringer la mano,
210ti sento dir che lo sperarlo è vano.
 MASSIMO
 Io d'ingannarti, o figlia,
 mai non ebbi il pensier. T'accheta. Alfine
 non è il peggior de' mali
 il talamo d'Augusto.
 FULVIA
                                       E soffrirai
215ch'abbia sposa la figlia
 chi della tua consorte
 insultò l'onestà? Così ti scordi
 le offese dell'onor? Così t'abbagli
 del trono allo splendor?
 MASSIMO
                                             Vieni al mio seno,
220degna parte di me. Quell'odio illustre
 merita ch'io ti scopra
 ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
 dell'onor mio dissimulai le offese.
 Perde l'odio palese
225il luogo alla vendetta. Ora è vicina;
 eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
 tu puoi svenarlo; o almeno
 agio puoi darmi a trapassargli il seno.
 FULVIA
 Che sento! E con qual fronte
230posso a Cesare offrirmi
 coll'idea di tradirlo? Il reo disegno
 mi leggerebbe in faccia. a' gran delitti
 è compagno il timor. L'alma ripiena
 tutta della sua colpa
235teme sé stessa. È qualche volta il reo
 felice sì, non mai sicuro. E poi
 vindice di sua morte
 il popolo saria.
 MASSIMO
                              L'odia ciascuno;
 vano è il timor.
 FULVIA
                               T'inganni; il volgo insano
240quel tiranno talora,
 che vivente abborrisce, estinto adora.
 MASSIMO
 Tu l'odio mi rammenti e poi dimostri
 quell'istessa freddezza
 che disapprovi in me!
 FULVIA
                                           Signor, perdona
245se libera ti parlo. Un tradimento
 io non consiglio, allora
 che una viltà condanno.
 MASSIMO
                                              Io ti credea,
 Fulvia, più saggia e men soggetta a questi
 di colpa e di virtù lacci servili,
250utili all'alme vili,
 inutili alle grandi.
 FULVIA
                                    Ah, non son questi
 que' semi di virtù che in me versasti
 da' miei primi vagiti infino ad ora.
 M'inganni adesso o m'ingannasti allora?
 MASSIMO
255Ogni diversa etade
 vuol massime diverse. Altro a' fanciulli,
 altro agli adulti è d'insegnar permesso.
 Allora io t'ingannai.
 FULVIA
                                       M'inganni adesso.
 Che l'odio della colpa,
260che l'amor di virtù nasce con noi,
 che da' principi suoi
 l'alma ha l'idea di ciò che nuoce o giova,
 mel dicesti; io lo sento; ognun lo prova.
 E se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
265quando togliermi tenti
 l'orror d'un tradimento, orror ne senti.
 Ah! Se cara io ti sono,
 pensa alla gloria tua, pensa che vai...
 MASSIMO
 Taci, importuna; io t'ho sofferta assai.
270Non dar consigli; o consigliar se brami,
 le tue pari consiglia.
 Rammenta ch'io son padre e tu sei figlia.
 FULVIA
 
    Caro padre, a me non dei
 rammentar che padre sei;
275io lo so; ma in questi accenti
 non ritrovo il genitor.
 
    Non son io chi ti consiglia;
 è il rispetto d'un regnante,
 è l'affetto d'una figlia,
280è il rimorso del tuo cor. (Parte)
 
 SCENA V
 
 MASSIMO solo
 
 MASSIMO
 Che sventura è la mia! Così ripiena
 di malvagi è la terra e quando poi
 un malvagio vogl'io, son tutti eroi.
 Un oltraggiato amore
285d'Ezio gli sdegni ad irritar non basta.
 La figlia mi contrasta... Eh di riguardi
 tempo non è. Precipitare omai
 il colpo converrà; troppo parlai.
 Pria che sorga l'aurora,
290mora Cesare, mora. Emilio il braccio
 mi presterà. Che può avvenirne? O cade
 Valentiniano estinto e pago io sono;
 o resta in vita ed io farò che sembri
 Ezio il fellon. Facile impresa. Augusto,
295invido alla sua gloria,
 rivale all'amor suo, senz'opra mia
 il reo lo crederà. S'altro succede,
 io saprò dagli eventi
 prender consiglio. Intanto
300il commettersi al caso
 nell'estremo periglio
 è il consiglio miglior d'ogni consiglio.
 
    Il nocchier che si figura
 ogni scoglio, ogni tempesta
305non si lagni se poi resta
 un mendico pescator.
 
    Darsi in braccio ancor conviene
 qualche volta alla fortuna,
 che sovente in ciò che avviene
310la fortuna ha parte ancor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
 Del vincitor ti chiedo,
 non delle sue vittorie; esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
 l'applauso popolar? Serbava in volto
315la guerriera fierezza? Il suo trionfo
 gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
 Questo narrami, o Varo, e non le imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
 se degli acquisti suoi, più che di lui,
320la germana d'Augusto
 curiosa io credei. Sembrano queste
 sì minute richieste
 d'amante più che di sovrana.
 ONORIA
                                                       È troppa
 questa del nostro sesso
325misera servitù. Due volte appena
 s'ode da' labbri nostri
 un nome replicar che siamo amanti.
 Parlano tanti e tanti
 del suo valor, delle sue geste e vanno
330d'Ezio incontro al ritorno; Onoria sola
 nel soggiorno è rimasta;
 non v'accorse, nol vide; e pur non basta.
 VARO
 Un soverchio ritegno
 anche d'amore è segno.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
335al tuo lungo servir tollero, o Varo,
 di parlarmi così. Ma la distanza,
 ch'è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
 difendermi abbastanza.
 VARO
                                              Ognuno ammira
 d'Ezio il valor; Roma l'adora; il mondo
340pieno è del nome suo; fino i nemici
 ne parlan con rispetto;
 ingiustizia saria negargli affetto.
 ONORIA
 Giacché tanto ti mostri
 ad Ezio amico, il suo poter non devi
345esagerar così. Cesare è troppo
 d'indole sospettosa.
 Vantandolo al germano, uffizio grato
 all'amico non rendi.
 Chi sa, potrebbe un dì... Varo, m'intendi.
 VARO
350Io, che son d'Ezio amico,
 più cauto parlerò; ma tu, se l'ami,
 mostrati, o principessa,
 meno ingegnosa in tormentar te stessa.
 
    Se un bell'ardire
355può innamorarti,
 perché arrossire,
 perché sdegnarti
 di quello strale
 che ti piagò?
 
360   Chi si fe' chiaro
 per tante imprese
 già grande al paro
 di te si rese;
 già della sorte
365si vendicò. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 ONORIA sola
 
 ONORIA
 Importuna grandezza,
 tiranna degli affetti, e perché mai
 ci neghi, ci contrasti
 la libertà d'un ineguale amore,
370se a difender non basti il nostro core?
 
    Quanto mai felici siete,
 innocenti pastorelle
 che in amor non conoscete
 altra legge che l'amor!
 
375   Ancor io sarei felice,
 se potessi all'idol mio
 palesar, come a voi lice,
 il desio di questo cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO
 Ezio sappia ch'io bramo
380seco parlar, che qui l'attendo. (Ad una comparsa che, ricevuto l’ordine, parte) Amico,
 comincia ad adombrarmi
 la gloria di costui. Ciascun mi parla
 delle conquiste sue; Roma lo chiama
 il suo liberatore; egli sé stesso
385troppo conosce. Assicurarmi io deggio
 della sua fedeltà. Voglio d'Onoria
 al talamo innalzarlo, acciò che sia
 suo premio il nodo e sicurezza mia.
 MASSIMO
 Veramente per lui giunge all'eccesso
390l'idolatria del volgo. Omai si scorda
 quasi del suo sovrano;
 e un suo cenno potria...
 Basta, credo che sia
 Ezio fedele e il dubitarne è vano;
395se però tal non fosse, a me parrebbe
 mal sicuro riparo
 tanto innalzarlo.
 VALENTINIANO
                                 Un sì gran dono ammorza
 l'ambizion d'un'alma.
 MASSIMO
                                           Anzi l'accende.
 Quando è vasto l'incendio, è l'onda istessa
400alimento alla fiamma.
 VALENTINIANO
                                           E come io spero
 sicurezza miglior? Vuoi ch'io m'impegni
 su l'orme de' tiranni e ch'io divenga
 all'odio universale oggetto e segno?
 MASSIMO
 La prima arte del regno
405è il soffrir l'odio altrui. Giova al regnante
 più l'odio che l'amor. Con chi l'offende
 ha più ragion d'esercitar l'impero.
 VALENTINIANO
 Massimo, non è vero.
 Chi fa troppo temersi
410teme l'altrui timor. Tutti gli estremi
 confinano fra loro. Un dì potrebbe
 il volgo contumace
 per soverchio timor rendersi audace.
 MASSIMO
 Signor, meglio d'ogni altro
415sai l'arte di regnare. Hanno i monarchi
 un lume ignoto a noi. Parlai finora
 per zelo sol del tuo riposo; e volli
 rammentar che si deve
 ad un periglio opporsi infin che è lieve.
 
420   Se povero il ruscello
 mormora lento e basso,
 un ramoscello, un sasso
 quasi arrestar lo fa.
 
    Ma se alle sponde poi
425gonfio d'umor sovrasta,
 argine oppor non basta;
 e co' ripari suoi
 torbido al mar sen va. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 VALENTINIANO, poi EZIO
 
 VALENTINIANO
 Del ciel felice dono
430sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
 ma sembra il trono istesso
 dono infelice a chi gli sta dappresso.
 EZIO
 Eccomi al cenno tuo.
 VALENTINIANO
                                        Duce, un momento
 non posso tollerar d'esserti ingrato.
435Il Tebro vendicato,
 la mia grandezza, il mio riposo e tutto
 del senno tuo, del tuo valore è frutto.
 Se prodigo ti sono
 anche del soglio mio, rendo e non dono;
440onde in tanta ricchezza, allor che bramo
 ricompensare un vincitore amico,
 trovo, chi 'l crederia? ch'io son mendico.
 EZIO
 Signor, quando fra l'armi
 a pro di Roma, a pro di te sudai,
445nell'opra istessa io la mercé trovai.
 Che mi resta a bramar? L'amor d'Augusto
 quando ottener poss'io,
 basta questo al mio cor.
 VALENTINIANO
                                              Non basta al mio.
 Vuo' che il mondo conosca
450che, se premiarti appieno
 Cesare non poté, tentollo almeno.
 Ezio, il cesareo sangue
 s'unisca al tuo. D'affetto
 darti pegno maggior non posso mai.
455Sposo d'Onoria al nuovo dì sarai.
 EZIO
 (Che ascolto!)
 VALENTINIANO
                             Non rispondi?
 EZIO
                                                          Onor sì grande
 mi sorprende a ragion. D'Onoria il grado
 chiede un re, chiede un trono;
 ed io regni non ho, suddito io sono.
 VALENTINIANO
460Ma un suddito tuo pari
 è maggior d'ogni re. Se non possiedi,
 tu doni i regni; e il possederli è caso;
 il donarli è virtù.
 EZIO
                                  La tua germana,
 signor, deve alla terra
465progenie di monarchi; e meco unita
 vassalli produrrà. Sai che con questi
 ineguali imenei
 ella a me scende, io non m'innalzo a lei.
 VALENTINIANO
 Il mondo e la germana
470nell'illustre imeneo punto non perde;
 e se perdesse ancor, quando all'imprese
 d'un eroe corrispondo,
 non può lagnarsi e la germana e il mondo.
 EZIO
 No, consentir non deggio
475che comparisca Augusto,
 per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.
 VALENTINIANO
 Duce, fra noi si parli
 con franchezza una volta. Il tuo rispetto
 è un pretesto al rifiuto. Alfin che brami?
480Forse è picciolo il dono? O vuoi per sempre
 Cesare debitor? Superbo al paro
 di chi troppo richiede
 è colui che ricusa ogni mercede.
 EZIO
 E ben, la tua franchezza
485sia d'esempio alla mia. Signor, tu credi
 premiarmi e mi punisci.
 VALENTINIANO
                                                Io non sapea
 che a te fosse castigo
 una sposa germana al tuo regnante.
 EZIO
 Non è gran premio a chi d'un'altra è amante.
 VALENTINIANO
490Dov'è questa beltà che tanto indietro
 lascia il merto d'Onoria? È a me soggetta?
 Onora i regni miei? Stringer vogl'io
 queste illustri catene.
 Spiegami il nome suo.
 EZIO
                                            Fulvia è il mio bene.
 VALENTINIANO
495Fulvia!
 EZIO
                 Appunto. (Si turba).
 VALENTINIANO
                                                        (Oh sorte!) Ed ella
 sa l'amor tuo?
 EZIO
                             Nol credo.
 (Contro lei non s'irriti).
 VALENTINIANO
                                              Il suo consenso
 prima ottener procura;
 vedi se tel contrasta.
 EZIO
500Quello sarà mia cura; il tuo mi basta.
 VALENTINIANO
 Ma potrebbe altro amante
 ragione aver sopra gli affetti suoi.
 EZIO
 Dubitarne non puoi. Dov'è chi ardisca
 involar temerario una mercede
505alla man che di Roma il giogo scosse?
 Costui non veggo.
 VALENTINIANO
                                   E se costui vi fosse?
 EZIO
 Vedria ch'Ezio difende
 gli affetti suoi come gl'imperi altrui;
 temer dovrebbe...
 VALENTINIANO
                                    E se foss'io costui?
 EZIO
510Saria più grande il dono,
 se costasse uno sforzo al cor d'Augusto.
 VALENTINIANO
 Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
 uno sforzo in mercede.
 EZIO
 Ma Cesare è il sovrano; Ezio lo chiede;
515Ezio che fin ad ora
 senza premio servì; Cesare a cui
 è noto il suo dover, che i suoi riposi
 sa che gode per me, che al voler mio
 quando il soglio abbandona
520sa che rende, e non dona, e che un momento
 non prova fortunato
 per tema sol di comparirmi ingrato.
 VALENTINIANO
 (Temerario!) Credea
 nel rammentare io stesso i merti tuoi
525di scemartene il peso.
 EZIO
                                           Io li rammento,
 quando in premio pretendo...
 VALENTINIANO
 Non più; dicesti assai; tutto comprendo.
 
    So chi t'accese;
 basta per ora.
530Cesare intese;
 risolverà.
 
    Ma tu procura
 d'esser più saggio.
 Fra l'armi e l'ire
535giova il coraggio;
 pompa d'ardire
 qui non si fa. (Parte)
 
 SCENA X
 
 EZIO e poi FULVIA
 
 EZIO
 Vedrem se ardisce ancora
 d'opporsi all'amor mio.
 FULVIA
                                             Ti leggo in volto,
540Ezio, l'ire del cor. Forse ad Augusto
 ragionasti di me?
 EZIO
                                   Sì, ma celai
 a lui che m'ami, onde temer non dei.
 FULVIA
 Che disse alla richiesta e che rispose?
 EZIO
 Non cedé, non s'oppose;
545si turbò; me n'avvidi a qualche segno;
 ma non osò di palesar lo sdegno.
 FULVIA
 Questo è il peggior presagio. A vendicarsi
 cauto le vie disegna
 chi ha ragion di sdegnarsi e non si sdegna.
 EZIO
550Troppo timida sei.
 
 SCENA XI
 
 ONORIA e detti
 
 ONORIA
 Ezio, gli obblighi miei
 sono immensi con te. Volle il germano
 avvilir la mia mano
 sino alla tua; ma tu però, più giusto,
555d'esserne indegno hai persuaso Augusto.
 EZIO
 No, l'obbligo d'Onoria
 questo non è. L'obbligo grande è quello
 ch'io fui cagion, nel conservarle il soglio,
 ch'or mi possa parlar con quest'orgoglio.
 ONORIA
560È ver, ti deggio assai, perciò mi spiace
 che ad onta mia mi rendano le stelle
 al tuo amore infelice
 di funeste novelle apportatrice.
 Fulvia, ti vuol sua sposa (A Fulvia)
565Cesare al nuovo dì.
 FULVIA
                                      Come!
 EZIO
                                                     Che sento!
 ONORIA
 Di recartene il cenno
 egli stesso or m'impose. Ezio, dovresti
 consolartene alfin; veder soggetto
 tutto il mondo al suo ben pur è diletto.
 EZIO
570Ah questo è troppo! A troppo gran cimento
 d'Ezio la fedeltà Cesare espone.
 Qual dritto, qual ragione
 ha sugli affetti miei? Fulvia rapirmi?
 Disprezzarmi così? Forse pretende
575ch'io lo sopporti? O pure
 vuol che Roma si faccia
 di tragedie per lui scena funesta?
 ONORIA
 Ezio minaccia; e la sua fede è questa?
 EZIO
 
    Se fedele mi brama il regnante,
580non offenda quest'anima amante
 nella parte più viva del cor.
 
    Non si lagni se in tanta sventura
 un vassallo non serba misura,
 se il rispetto diventa furor. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 ONORIA e FULVIA
 
 FULVIA
585A Cesare nascondi,
 Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele;
 parla così da disperato amante.
 ONORIA
 Mostri, Fulvia, al sembiante
 troppa pietà per lui, troppo timore.
590Fosse mai la pietà segno d'amore?
 FULVIA
 Principessa, m'offendi. Assai conosco
 a chi deggio l'affetto.
 ONORIA
 Non ti sdegnar così, questo è un sospetto.
 FULVIA
 Se prestar si dovesse
595tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
 dubitar ne faria. Ben da' tuoi sdegni
 come soffri un rifiuto anch'io m'avvedo;
 dovrei crederti amante e pur nol credo.
 ONORIA
 Anch'io, quando m'oltraggi
600con un sospetto al fasto mio nemico,
 dovrei dirti arrogante; e pur nol dico.
 
    Ancor non premi il soglio
 e già nel tuo sembiante
 sollecito l'orgoglio
605comincia a comparir.
 
    Così tu mi rammenti
 che i fortunati eventi
 son più d'ogni sventura
 difficili a soffrir. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 FULVIA sola
 
 FULVIA
610Via, per mio danno aduna,
 o barbara fortuna,
 sempre nuovi disastri. Onoria irrita,
 rendi Augusto geloso, Ezio infelice,
 toglimi il padre ancor; toglier giammai
615l'amor non mi potrai, che a tuo dispetto
 sarà per questo core
 trionfo di costanza il tuo rigore.
 
    Finché un zeffiro soave
 tien del mar l'ira placata,
620ogni nave è fortunata,
 è felice ogni nocchier.
 
    È ben prova di coraggio
 incontrar l'onde funeste,
 navigar fra le tempeste
625e non perdere il sentier.
 
 Fine dell’atto primo